Quella che oggi chiamiamo coscienza ambientale, una volta era parte integrante della coscienza dell’uomo. Senza che nessuno ce lo dovesse ricordare, sapevamo di essere parte del mondo e del cosmo e il nostro rapporto con la Terra era intriso di gratitudine e rispetto, da una parte, e di timore dall’altra.
La Terra era madre buona, fonte di nutrimento, di piacere, di vita, ed era anche madre cattiva, spaventosa nella sua ira e nella furia dei suoi elementi; era un essere dotato di vita propria, una divinità, e come tale è stata per millenni celebrata dal rito e dal mito.
Nel processo di emancipazione dai limiti imposti dalla dipendenza dei suoi ritmi, dai suoi favori e dai suoi capricci, come umanità abbiamo attraversato una fase di ribellione e rifiuto nei confronti della Madre, per misurare le nostre forze da soli nell’esistenza, dimostrando di poter fare a meno di lei.
È un po’ come quello che succede ogni volta ad un adolescente, quando deve provare a se stesso di essere ormai grande e per farlo deve recidere il legame di dipendenza dai genitori.
E poi, cosa accade in realtà verso l’età adulta, quando il processo si svolge nel migliore dei modi?
Il rapporto ritrovato con Madre Terra
Che il rapporto con i genitori viene ritrovato, non più all’insegna della dipendenza, ma della parità, si trasforma in un rapporto di interazione, all’insegna del rispetto reciproco e della collaborazione.
Avendo dimostrato a se stesso e al mondo il suo valore, il ragazzo ormai uomo non ha più bisogno di rifiutare e maltrattare il genitore per affermarsi, ma può ritrovarlo come persona, non più come ruolo, e come tale avviare un nuovo tipo di rapporto.
Questo potrebbe essere il punto in cui, come umanità, ci troviamo nei confronti della Terra. È stata un’adolescenza molto difficile la nostra, che ci ha portato a perdere in molte occasioni qualsiasi tipo di sensibilità e sentimento nei confronti di colei che per millenni è stata la nostra Madre.
Che ci ha portato a maltrattarla, malnutrirla, scavarne le viscere, tormentarla con esplosioni, violentarla, uccidere e torturare le sue creature, nostri fratelli maggiori, presenti da più tempo su questo pianeta, ma rinnegati dalla nostra incapacità di sentire il mondo animale e ogni altra forma di vita come parte della nostra stessa famiglia.
Per il nostro bene, per il bene della Terra, dobbiamo fare il passo necessario per uscire dall’adolescenza, ormai celebrata e vissuta, e ritrovare quella nostra unità interiore che sola ci porterà alla maturità.
Bisogna emanciparsi e diventare adulti
La vita ha bisogno che diventiamo adulti, la terra ha bisogno di noi, ci chiama e ci reclama. Perché il gioco si sta spingendo troppo oltre e presto si arriverà a un punto in cui non riuscirà più a reggere i nostri soprusi senza reagire violentemente, senza rischiare di compromettere quegli equilibri coltivati con attenzione e impegno per tempi così lunghi che neppure riusciamo a immaginare, me che consciamente sono precari e difficili da mantenere. Sta già accadendo.
La nostra psiche e il rapporto con la Madre Terra
Ai livelli più profondi, anche la nostra psiche è legata alla Terra. Non potremo mai avere un vero benessere su un pianeta malato e l’impegno per la salute individuale passa necessariamente dall’impegno per la salute, a tutti i livelli, del nostro pianeta.
Dobbiamo aprire gli occhi su un nuovo livello di identità, che ci vede parte integrante del mondo in cui viviamo, che ci vede tutt’uno con il mondo.
Si tratta una rivoluzione copernicana: il pianeta sta male, gli ecosistemi sono in crisi, lo sfruttamento delle risorse è in crisi, dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo fare qualcosa perché é di noi che si tratta, perché tra noi e il mondo c’é la stessa relazione che c’è tra una foglia e il suo albero, un’onda e il mare, una cellula e il corpo cui appartiene.
Quanto verrà fatto non fatto nei prossimi 15 anni sarà decisivo per l’ecosistema terrestre. Ci sono trasformazioni che avvengono gradualmente ma che, superata una certa soglia critica, poi accadono a catena, tutte in una volta e senza possibilità di ritorno.
Nel pieno dell’emergenza globale di Sars-CoV-2, una notizia è passata del tutto inosservata: quello del 2020 è stato in Europa l’Aprile più caldo mai registrato. E questo accade in seguito all’inverno più caldo di sempre, una media di 3/4 gradi in più rispetto al trentennio di riferimento 1981-2010.
Presi dal nostro lockdown, esterefatti dal trovarci nel mezzo di una crisi che ci ha travolti in modo intenso e del tutto inaspettato, abbiamo più o meno ignorato i segnali con cui si confermava l’ampiezza della crisi climatica.
La crisi climatica e l’emergenza globale Sars-CoV-2
Eppure, le due crisi sono simili ed estremamente correlate tra loro. Entrambe hanno carattere globale, perché minacciano il genere umano nella sua interezza.
Entrambe interpellano il nostro modello di sviluppo. Se il salto di specie , la cosiddetta “ zoonosi”, compiuto dal virus Sars-CoV-2 è figlio della deforestazione, della marcata urbanizzazione, dell’assottigliarsi del confine tra spazi selvatici e spazi abitati fra esseri umani, il surriscaldamento globale è l’effetto di quello stesso approccio estrattivo che nell’ultimo secolo ha portato a disboscare aree enormi del pianeta, travolto gli ecosistemi e moltiplicato in modo esponenziale le emissioni di gas climalteranti.
Cosa possiamo fare come singoli individui?
Ma cosa può fare, il singolo individuo di fronte a processi così grandi e così fuori dalla portata e dal controllo individuale?
Può cominciare con l’interessarsi a quanto sta succedendo, col sentirsi coinvolto e partecipe. Può continuare con quei piccoli gesti della vita quotidiana che rappresentano una goccia nel mare- la raccolta differenziata dei rifiuti, evitare gli sprechi d’acqua, elettricità, benzina, eserciate pressione diretta sui governi per l’attuazione di strategie migliori, e diventando consumatori consapevoli, favorendo quei prodotti frutto di modalità più rispettose sia dell’ambiente sia dei lavoratori; in generale consumando meno-, tenendo presente che il mare, del resto, è fatto di innumerevoli gocce.
Bisogna uscire dall’adolescenza e diventare adulti occupandoci prima di tutto dei propri equilibri ecologici interni.
Cosa vuol dire?
Che il contributo più grande che possiamo dare nel qui e ora, tutti noi – senza eccezione – è quello di impegnarci in prima persona a rispettare quei valori che vorremmo alla base di un buon rapporto con l’ambiente, valori che si esplicano nei piccoli gesti della vita quotidiana, nelle interazioni con le persone che abbiamo più vicino, nelle scelte che facciamo non solo nelle grandi, ma nelle piccole cose. Questo con il tempo si tradurrà a sua volta in azioni e realizzazioni concrete e rispettose dell’individualità e della vita.
Dobbiamo evolvere e maturare a livello personale, sociale e umano verso quel salto di qualità che il tempo attuale ci costringe a compiere. Sono i tempi a chiederlo, non possiamo più girarci dall’altra parte.
Bisogna diventare terrestri consapevoli, cittadini attivi del pianeta Terra.